martedì 17 luglio 2012

Mi piaci da morire - F. Bosco

In un attacco di masochismo (l'ennesimo, immagino sia colpa del caldo che da' alla testa) ho dato un'opportunità a questo libro che si odorava di sòla a km di distanza. Sono stata graziata dall'esiguità delle pagine e dallo spessore socio-culturale rasente lo zero e che - quindi - trasforma questo libro in prodotto leggibile anche da coloro che hanno un QI da prefisso telefonico. Internazionale, intendo.

Monica, una trentunenne italiana alla ricerca di se stessa e che vuole coronare il sogno di scrivere un libro, va a vivere a New York convinta che sarà come vivere Friends; d'altronde "anche il nome lo ricorda". E' chiaro che ci si rende immediatamente conto di essere di fronte ad una cerebralmente compromessa: lo spegnimento del cervello è d'obbligo se non si vuole chiudere il libro e cestinarlo seduta stante.

Ovviamente i coinquilini della nostra saranno un gay con la fissa del volontariato ed una caraibica sciamana chiaroveggente. I suoi datori di lavoro due zitelle inacidite e l'amore l'editore tormentato incontrato nel negozio in cui lavora. Entusiasmante, vero?

Ma la chicca, la vera chicca è lo stile narrativo. Vogliamo parlarne? Vogliamo davvero parlarne? Profondo quanto una pozzanghera, dizionario ristretto, qua e là un'uscita da finta intellettuale. Tutto questo non è sufficiente per la creazione di un libro; questo infatti non è altro che un'accozzaglia di accadimenti senza soluzione di continuità, con personaggi poco strutturati e monodimensionali.

Mi viene da chiedere, cara Bosco: te lo pubblicano o te lo paghi tu?

PS: ho appena scoperto l'esistenza di un seguito. Al peggio non c'è fine.

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